Cinematografia "scomoda" degli ultimi anni
Nell'ultimo decennio la tendenza della cinematografia internazionale è stata quella di realizzare film di denuncia sociale; numerose le pellicole, che hanno affrontato argomenti scottanti, con polemiche al seguito, anche a livello internazionale.
E' il caso di "Paradise Now", di Hany Abu-Assad, del 2004, in cui viene mostrata la tragedia di diventare assassini e assassinati allo stesso tempo. La vicenda di due ragazzini di Nablus che si offrono per una missione suicida contro Israele, ha fatto sì che il film, presentato a Berlino e candidato all'Oscar come miglior film straniero, sia stato oggetto di una petizione firmata da 22 mila persone richiedenti l'esclusione della pellicola dall'Oscar a causa della presunta giustificazione degli attacchi kamikaze. Con una seconda petizione, inoltre, è stato richiesto di non presentare il film come palestinese perchè la Palestina non esiste come Stato.
Il recente "Blood diamond" di Edward Zwick, raccontando dello sfruttamento in Sierra Leone dei minatori di diamanti da parte del fronte nazionale per le spese di armi e per l'indottrinamento coatto di bambini soldati -si parla di circa 600.000 bimbi- ha riportato invece alla luce il tema scottante del contrabbando dei diamanti insanguinati e del necessario impegno della Commissione Europea per contrastare il fenomeno.
Se con "Bordertown" di Gregory Nava si mostra la realtà di 400 ragazze assassinate negli ultimi quindici anni, previa violenza sessuale, nel paesino di Juàrez -al confine tra USA e Messico-, con "Bowling at Colombine", Michael Moore, dopo i fatti di Colombine del 1999, ha chiesto al pubblico se la maggiore quantità di armi da fuoco sul suolo nazionale sia garanzia o meno di maggiore sicirezza.
Numerosa poi la cinematografia sul Medioriente e sull'Asia. Il regista olandese Theo Van Gogh è stato assassinato nel 2004 da un fondamentalista islamico dopo aver diretto il documentario "Submission", uno spaccato sulla condizione delle donne nell'Islam di oggi e sulla diffusione della pratica dell'infibulazione. Anche la sceneggiatrice, Ayaan Hirsi Alì, le attrici del film ed il produttore Gijs van Vesterlaken sono stati minacciati di morte, costringendo quest'ultimo a ritirare la pellicola a tempo indeterminato. Lo stesso argomento è stato trattato da Sembene Ousmane con "Mooladè", vincitore della sezione "Un certain regard" a Cannes nel 2004, mentre con " Palazzo Yacoubian" di Marwan Hamed - premio migliore opera al Tribeca Film Festival 2006- l'Egitto moderno, ricco di omosessualità, corruzione ai più alti livelli dello Stato, violenza da parte della polizia e ascesa dell'integralismo, ha infuocato il dibattito fino alla richiesta da parte di più di cento parlamentari del taglio delle scene gay e minacce di pestaggio per gli attori.
Con "Water", infine, Deepa Mehta è andata talmente contro i tabù della società indiana che il set del film nel 2000 è stato bruciato da un gruppo fondamentalista indù, che, dopo aver minacciato la regista e le attrici di morte, ha costretto la sospensione d'autorità delle riprese per cinque anni e il loro proseguo nello Sri Lanka, in assoluta segretezza. In "Water" si denunciano, infatti, gli ashram, vale a dire gli ospizi nei quali le vedove indiane sono costrette a vivere di carità ed in solitudine, senza possibilità di interazione con l'esterno, fino alla loro morte.
-Integrazione del pezzo uscito l'11/06/2007 sul Quotidiano della Sera di Roma-
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