18 marzo 2007: l"incipit


"Vieni a fare un giro dentro di me
o questo fuoco
si consumerà da sè.
E se una vita finisce qua
quest'altra vita
presto comincerà"

Con parole di altri (gli Afterhours), apro questo blog, con il fuoco che spero non si spenga mai.
Ho scritto molte parole, forse inutili o banali, o forse interessanti, irriverenti e divertenti.Le ho pubblicate altrove, ma a volte capita che dopo una giornata al mare si torni a casa solo con la sabbia nelle scarpe.
Ecco spiegato, quindi, il perchè di post retrodatati.
E' iniziata anche questa avventura..davanti, l'orizzonte. Sconosciuto. E per questo, assolutamente elettrizzante!
Buona lettura a tutti!



07 aprile 2012

C.P.F. - Cinque Pezzi Facili al Teatro Lo Spazio di Roma

C.P.F., alias Cinque Pezzi Facili. Non quelli di Rafelson, vincitori di un premio Oscar.
Si tratta, piuttosto di cinque pezzi, a dir la verità non proprio facili, scritti e diretti dal giovane regista romano Alex Cantarelli, in scena fino a Domenica 8 Aprile al Teatro Lo Spazio di Roma.
A dispetto del titolo, infatti, i cinque pezzi di Cantarelli sono a volte un pugno nello stomaco, pieni di sagacia ed ironia, ma anche duri e assolutamente veritieri.
La scena è riempita solo da qualche sedia, bianca, candida, come la coscienza, che a volte scompare per lasciare al centro l'uomo, l'attore, il personaggio, il suo ruolo.
Pochissimi sono i nomi dei protagonisti. C'è Umberto C., personificazione dell'anti-eroe, le cui parole e i cui gesti, sebbene a suo dire siano giustificati da un copione, sono condannati addirittura da un Andreotti censore, critico verso i suoi modi bruti e scontrosi, che poco si confanno al comune vivere.
E ci sono poi Giangy, Pucci, Lally, Gnammy, membri, quasi tutti, di una famiglia talmente indaffarata a "fare altro", uscire, usare un linguaggio considerato "alla moda" ma fondamentalmente sboccato, da non accorgersi di un importante avvenimento simbolo dell'unione familiare, il Natale, a sottolineare la disgregazione anche del focolare domestico, a vantaggio di un'dea di "casa" che è pura e semplice facciata.
Nei restanti tre pezzi facili il nome, l'attore con un ruolo ben preciso vanno man mano disgregandosi.
Se in "Mio marito è uno Strehler" una moglie scusa la disattenzione e candida ferocia del marito nella vita coniugale con l'amore e l'impegno di lui per la sua carriera artistica, nel quarto di questi brevi pezzi di Cantarelli ("Cinque personaggi in cerca d'autore") sono gli attori stessi che si ribellano all'autore e regista e che vogliono imporsi come scrittori della propria parte. Si trovano tuttavia, a raccontare, inconsapevolmente, ciascuno parti di vita dell'altro, incapaci di inventare davvero una parte per sè, intrappolati come sono nel ruolo dell'attore che "parla solo della sua vita" sebbene da insegnamento bisognerebbe interpretare, e non parlare di sè.
Con Fantasmi, infine, torna il rimando del titolo a Rafelson.
Marito e moglie che ricevono dopo due anni la visita del figlio e della sua compagna, si ritrovano l'una in cucina a preparare manicaretti per gli ospiti, l'altro a scontrarsi col figlio a causa di una sua ipocrita azione di alcuni anni prima, in un crescendo di frasi dure, confronti-scontri dal finale drammatico, a sancire come la vigliaccheria, l'egoismo e l'ipocrisia siano spesso i paraventi dietro cui facilmente ci si rifugia.
Bravissimi i sette attori in scena: Mimma Mercurio, Maria Letizia, Simone Pieroni, Antonio Sinisi, Dario Tacconelli, Isabella Carle ed Aurora Deiana, capaci di far sorridere, emozionare, commuovere e intrigare il pubblico. Molto belle anche le musiche, appositamente composte da Cantarelli per i Cinque Pezzi Facili.
L'ennesima dimostrazione che del buon teatro si può ancora fare; e dal calore del pubblico che questa sera ha assistito alla prima, l'ennesima dimostrazione che il talento viene sempre apprezzato.

30 marzo 2012

Se solo mi avessi mostrato il tuo corpo

Tanti vestiti, quasi stracci, a terra, sparsi disordinatamente, a formare un pavimento di memoria.

Al centro, seduta, con una grande palla anch'essa rivestita di pezze e stracci, una giovane donna, bella ed espressiva in quella sua maglietta a righe e pantaloni neri, novella Pierrot senza lacrime visibili.

Inizia così "Se solo mi avessi mostrato il tuo corpo", di Paolo Vanacore, in scena fino a sabato 31 Marzo presso lo spazio teatrale Elsa Morante di Roma.

E' scalza questa giovane donna, e abbraccia il pallone, parlandogli. Ricorda la sua infanzia, la sua vita interamente passata "in uno stanzone" insieme ai cinque fratelli. Ricorda le voglie del padre di "scopare, fottere", mentre la ritrosìa della madre a concedersi al marito a poco avevano potuto, essendo nato dopo di lei Luigino. Ricorda la curiosità di bambina, il suo chiedere spiegazioni di quello "scopare, fottere", il senso, la modalità. Ricorda le botte della madre, unico momento in cui le sue mani la toccavano.

Un monologo che poi diventa dialogo muto con una madre-muro, assente quasi del tutto sia dalla scena teatrale che dalla vita della giovane e fragile Stefania, così curiosa, bisognosa d'affetto e delle mani della mamma, del suo calore, della sua pelle.

Una storia difficile, emozionante, commovente, una storia basata sulla verità di una delle tante vite che negli anni Ottanta popolavano il quartiere di Magliana, a Roma, proprio sotto l'argine.

Una storia anch'essa sotto l'argine, non figurato, bensì reale. Un argine fatto di ritrosìa, distacco, non amore; un argine che ha trovato il suo punto di rottura quando, con l'anoressia, Stefania si è resa conto di riuscire a destare l'attenzione di una mamma così tanto schifata dai rapporti umani da non volerne avere nemmeno con i propri figli.

Un argine che è stato ricostruito grazie a Chiara, a un'altra donna, un'infermiera, che è riuscita a dare, proprio a partire da un letto d'ospedale, quel pò d'amore di cui Stefania aveva tanto bisogno, che le ha fatto conoscere il suo corpo come mai nessuno prima, che l'ha liberata da quel senso oppressivo del "peccato" che tanto impediva a casa sua il solo toccarsi.

Eppure, nonostante Chiara, Stefania non è ancora una donna indipendente dalla madre, anzi. Ne cerca disperatamente, ancora, dopo anni, l'amore, l'approvazione, la parola, il gesto; la va a trovare da dieci anni in una casa di cura dove s'è rinchiusa, costretta su una sedia a rotelle, nel suo silenzio distaccato e inumano.

E Stefania, proprio in una delle sue tante visite, decide di rompere ancora quell'argine, non facendo però più male a se stessa, ma provando a farne alla madre, riversandole addosso le sue parole come fiume in piena, ricche di disperazione, frustrazione, amore e bisogno, nella speranza di ottenere da lei, sebbene dettato magari dalla rabbia, almeno un gesto..impresa difficile, quasi impossibile, avendo davanti una donna che sdegnosamente guarda questa carne della sua carne mentre le racconta di Chiara..

Il fiume di parole di Stefania inevitabilmente finisce per far rompere le dighe dello spettatore, così fortemente coinvolto nel disperato bisogno d'aiuto di questa giovane e bella donna, da piangere con lei, sentimentalmente sconvolto come lei da un abbraccio finale che quasi sembra voler ricongiungere fili spezzati.

Un'emozione che senza una Tullia Daniele così espressiva e ricca, difficilmente sarebbe potuta venir fuori; un'emozione da cui, per chi può andare, consiglio di lasciarsi travolgere.



Se solo mi avessi mostrato il tuo corpo

di Paolo Vanacore

con Tullia Daniele

Fino al 31 Marzo presso lo spazio teatrale Elsa Morante

Piazzale Elsa Morante

Roma

Biglietto intero: 12 €; ridotto 10;

Spettacolo: ore 20.30