18 marzo 2007: l"incipit


"Vieni a fare un giro dentro di me
o questo fuoco
si consumerà da sè.
E se una vita finisce qua
quest'altra vita
presto comincerà"

Con parole di altri (gli Afterhours), apro questo blog, con il fuoco che spero non si spenga mai.
Ho scritto molte parole, forse inutili o banali, o forse interessanti, irriverenti e divertenti.Le ho pubblicate altrove, ma a volte capita che dopo una giornata al mare si torni a casa solo con la sabbia nelle scarpe.
Ecco spiegato, quindi, il perchè di post retrodatati.
E' iniziata anche questa avventura..davanti, l'orizzonte. Sconosciuto. E per questo, assolutamente elettrizzante!
Buona lettura a tutti!



27 settembre 2007

Il teatro si fa giallo. E' di scena Complici di Rupert Holmes

Il Washington Post ha affermato che Agatha Christie lo avrebbe potuto scrivere sotto l'effetto di qualche droga allucinatoria.
Ma ora nè l'investigatore Poirot nè Miss Marple potrebbero essere coinvolti.
Sono, infatti, personaggi troppo ben definiti e noti perchè li si possa chiamare in causa.
Eppure un mistero (ma siamo sicuri solo uno?) c'è, e bisognerà pure trovare il colpevole (o lo spirito di emulazione colpirà qualcun altro?)..
Di cosa sto parlando? Di "Complici", di Rupert Holmes, in prima nazionale in scena fino al 7 ottobre al Teatro Ghione, con la traduzione e l'adattamento di Ennio Coltorti e Laura Rosella.
La storia dei romanzi gialli è molto "semplice": qualcuno viene ucciso, qualcun altro è incolpato, qualcuno è sospettato per gran parte dello spettacolo e solo alla scena finale si scopre che è invece innocente.
Sebbene tutto ciò possa rispecchiare le storie di Georges Simenon, o John Grisham o Andrea Camilleri, in questo caso, però, non è proprio così.
Qualcuno che muore e qualcuno che ne ha colpa c'è, questo si (o forse?).
Però il thriller di Holmes non è solo questo; innanzitutto non è un thriller. O meglio, è un thriller-comedy, cioè una storia che tiene col fiato sospeso sia per la vicenda intricata che per prendersi una pausa dalle risate.
Tre gli attori in scena (Ennio Coltorti, Gianluca Ramazzotti e Cinzia Mascoli), ma in realtà il palcoscenico sembrerà pieno; Complici è una scatola cinese, dove tutto ciò che si vede non è come appare. Ironia, sarcasmo, giallo, confessioni e colpi di scena ne costituiscono la struttura principale; niente investigatore però. E nemmeno maggiordomi custodi di misteri.
Siamo tutti co-cospiratori nel trovare l'identità dell'assassino/i e della vittima/e.
Nelle intenzioni dell'autore, inoltre, ciò che accade alla fine non è importante. Quello che conta è tenere sulle spine lo spettatore.
Del resto, lo stesso Holmes, incalzato dalle domande dei curiosi in merito a questa sua pluripremiata fatica, ha affermato che avrebbe detto una bugia anche dicendo la verità.
Coltorti e la Rosella saranno riusciti a rendere l'originalità di Holmes come nelle sue intenzioni?
Questo è un altro mistero nel mistero. Resta a noi scoprirlo, in teatro.

-Pezzo uscito sul Quotidiano della Sera di Roma il 27/09/2007-

Rupert, talento da podio

Nato nel 1947 a Nortwich, in Inghilterra, Rupert Holmes è artista poliedrico.
Trasferitosi da piccolo negli Stati Uniti, dopo gli studi di clarinetto e composizione presso la Manhattan School of Music, Holmes inizia a suonare il basso in un gruppo rock e scrive canzoni e jingles pubblicitari.
Probabilmente, la sua propensione per la musica la si deve al fatto che entrambi i genitori erano musicisti; il fratello Richard, invece, è un baritono affermato negli USA.
Da giovane, Holmes arrangia e compone canzoni per i maggiori gruppi musicali degli anni '60 - come i Platters-, fino a quando, nel 1974, tenta la carriera solista con l'album Widescreen. Il successo è tale che Barbara Streisand decide di includere alcuni suoi brani nel film E' nata una stella, avviandolo così ad una carriera gloriosa.

Nel 1979, con l'album Partners in Crime, Holmes raggiunge le hit statunitensi ed inglesi con Escape (The Piňa colada Song), seguito da Him.
Nel 1986, il musical Il mistero di Edwin Drood gli fa vincere cinque Tony Awards, di cui due dati allo stesso Holmes (miglior testo per il musical e migliore colonna sonora originale). Essendo il romanzo di Charles Dickens incompiuto, Holmes decise di scrivere un finale diverso della storia per ogni suo personaggio, lasciando decidere al pubblico, previa votazione in teatro, l'assassino di ogni sera.
Del 1990 è Complici, vincitore dell'Edgar Award, il premio in onore di Allan Poe, assegnato ogni anno dai Mystery Writers d'America (premio assegnatogli anche per Edwin Drood).
Dal 1996 al 1999 è creatore e seneggiatore di una serie tv americana, Remember WENN, mentre il suo lavoro di sceneggiatore di musical prosegue con Il ritratto di Dorian Gray -basato sul romanzo di Oscar Wilde-, e con Say Goodnight, Gracie, in nomination come miglior spettacolo del 2003 ai Tony Awards.
-Pezzo uscito il 27/09/2007 sul Quotidiano della Sera di Roma-

26 settembre 2007

Morte,rinascita,pace.Il "Pericle" di Shakespeare al Quirino

Da questa sera fino a venerdì 28 il Teatro Quirino ospita il Pericle di Shakespeare, per la regia di Antonio Latella, allestimento frutto degli studi dell'atelier del Progetto Thierry Salmon 2006.
Si apre dunque con un progetto storico ed in costante evoluzione la stagione teatrale del Teatro Quirino; se infatti il Pericle è un'opera composta dall'autore inglese presumibilmente tra il 1606 ed il 1607, essa viene però messa in scena dal più interessante progetto teatrale del momento - vincitore, tra l'altro, del Leone d'Oro per il Futuro all'ultima Biennale di Venezia-, il Progetto Thierry Salmon, diretto ed ideato da Franco Quadri.
La regia di Antonio Latella -tra i più innovatori e talentuosi attori-registi italiani- è, inoltre, garanzia di qualità.
Il dramma narra la storia di Pericle, re di Tiro, che, dopo aver conquistato la moglie sottoponendosi a tornei e prove, la perde in un naufragio. Qualche anno dopo, stessa sorte tocca all'amata figlia. Inizia così il peregrinare del Re, che attraversa il mondo come penitente, sconfitto dal dolore per aver perduto le sue gioie. Nel suo vagare egli vuole perdersi e tornare, ritrovarsi e ricrearsi, diventare "un viandante dell'anima", come lo ha definito il regista Latella.
Commossi dal bisogno di Pericle di comunicare con qualcuno che lo ascolti davvero essendo affine d'animo, gli Dei decidono di far ritrovare miracolosamente al re greco entrambe le donne, concedendogli così una seconda possibilità di vita, una rinascita dalle ceneri dell'uomo che era prima e che il viaggio ha, nel frattempo, modificato.
La storia del Pericle di Shakespeare è perciò elementare eppure fortemente complessa, data la sua natura di favola allegorica; il tema della morte, della rinascita e della pacificazione sono predominanti, accompagnati dal fil rouge della verità. Il bisogno di sapere chi si è veramente, cosa e come si voglia condurre la propria esistenza, affrontando le gioie ed i dolori che comunemente la colpiscono, fa decidere ad un uomo -colpito dalla solitudine e dalla perdita degli affetti- di essere per se stesso e per gli altri un eroe, o meglio, semplicemente, non più il riflesso di un'idea di uomo.
Un'opera, dunque, fortemente teatrale e scenica, che vedrà sul palcoscenico di Via delle Vergini dodici attori/allievi di Latella -di diverse nazionalità europee, appartenenti al Progetto Thierry Salmon la nuova École des Maîtres-, a cui il maestro/regista ha affidato il compito di riempire la nuda scena col potere dei loro corpi e delle loro parole.

-Pezzo uscito sul Quotidiano della Sera di Roma il 26/09/2007-

Il maestro belga che cacciava talenti. Thierry Salmon

Thierry Salmon era un regista belga, morto a 41 anni nel 1998. Come artista predilesse sempre, nei suoi spettacoli, il lavoro con giovanissimi, spesso nemmeno usciti dalle scuole; a caratterizzare il suo operato, erano gli stadi successivi dei suoi progetti, tutti itineranti, al fine di poter misurare le proprie capacità attoriali in diverse lingue.
Il Progetto a lui intitolato ha recuperato le peculiarità del lavoro di Salmon e lo ha unito all'esperienza pedagogica dell'Ecole des Maîtres, il corso internazionale di perfezionamento teatrale avviato nel 1990 tra Italia, Francia e Belgio. Recentemente, il Progetto Thierry Salmon si è esteso a due nuovi partner europei, la Spagna ed il Portogallo, in concomitanza con il suo inserimento nell'ambito del Programma Cultura 2000.
Diretto ed ideato da Franco Quadri, il Progetto Thierry Salmon -vincitore del Leone d'Oro del Futuro nella recente Biennale di Venezia- è un corso itinerante di formazione teatrale, il cui obiettivo è mettere in relazione giovani attori di diverse nazionalità -formatisi nelle accademie d’arte drammatica e nelle scuole di teatro d’Europa e già attivi come professionisti - con rinomati registi della scena internazionale.
Ciò che si vuole produrre è un'esperienza personale di crescita attraverso uno studio più variegato sia delle metodologie attoriali che delle pratiche delle messe in scena, in uno scambio di competenze d'alto profilo che avviene nel corso di atelier itineranti della durata di due mesi.
A guidare questa terza edizione del Progetto sono stati chiamati Antonio Latella e Pippo Delbono,
registi di due diversi atelier itineranti, indipendenti l'uno dall'altro ma eseguiti in contemporanea nel corso dell'estate appena passata. Ogni progetto ha visti coinvolti 15 stagisti rappresentanti di tutti e cinque i Paesi del Progetto; se il Pericle è il frutto del lavoro di Latella, Delbono, con il suo atelier La danza del corpo e delle parole, ha prodotto uno studio sulle parole silenzione, sull'immobilità, l'incontro e la poesia.

-Pezzo uscito sul Quotidiano della Sera di Roma il 26/09/2007-

24 settembre 2007

Sulle ali del tempo: Madrid danza a Roma con Europa duemilasette

Domani sera, alle ore 21 al Teatro India, si inaugura la settimana dedicata alla danza contemporanea madrilena e spagnola, presente all'interno della rassegna Europa duemilasette con il festival itinerante Madrid danza a Roma.
A dare il via alle manifestazioni facenti parte delle celebrazioni del Teatro di Roma per il cinquantennale dell'Europa, è lo spettacolo DKda1 -sólo diez aňos ya!-, lavoro della compagnia Larumbe Danza.
Lo spettacolo di domani è la proposta di Juan De Torres -direttore artistico della Larumbe Danza ed ideatore del festival- per festeggiare i dieci anni della sua direzione artistica della compagnia, condotta insieme a Daniela Merlo.
Obiettivo degli autori è guidare il pubblico a passi di danza attraverso il passare del tempo, col suo divenire e con la ciclicità che lo contraddistingue.
Insieme a Teresa Nieto e a Cesc Gelabert, dunque, De Torres e la Merlo espongono le proprie vite e la propria visione della danza attraverso frasi coreografiche aventi una forte caratterizzazione narrativa, nel rispetto della sperimentazione stilistica che contraddistingue i propri lavori. Le musiche originali sono eseguite dal vivo dal Trio de Cuerdas Blau Kamara, composto da Ingrid Torrecillas (violino), Sergio Fernández (viola) e Miguel Rosell (violoncello).
Accorgendosi che malgrado si corra ci si ritrova allo stesso punto di partenza, l'unico modo per non abbattersi e proseguire il cammino nella vita è la presenza degli altri, della gente che ci stima e di quella che ci fa lo sgambetto, doppia faccia di un'alterità presente nell'essere umano, sosta e spinta, allo stesso tempo, dei nostri passi. E' questo appoggio-scontro, dunque, il motore delle azioni dei singoli, i quali cercano, così, non solo di meglio comprendere gli altri, ma anche di capire qualcosa di più se stessi, in un gioco al rimando in cui il protagonista e la controfigura, il presente, il passato ed il futuro si mescolano nella realtà e nel suo contrario, come in un gioco di specchi.
DKda1 -sólo diez aňos ya!- è uno spettacolo realizzato con la collaborazione dell'Istituto Cervantes e col sostegno dell'Ambasciata di Spagna, del Ministero della Cultura di Spagna, del Comune e della Regione di Madrid.

-Pezzo uscito sul Quotidiano della Sera di Roma del 24/09/2007-

Quando l'arte si sposa con la tecnologia

Juan De Torres, ballerino, coreografo e professore, ha iniziato molto presto i suoi studi di danza. Nella Scuola di Formazione Professionale del Balletto Contemporaneo di Bruxelles, si è formato come ballerino studiando danza classica, contemporanea, improvvisazione, coreografia e musica, diventando, qualche anno dopo, insegnante di danza contemporanea nella stessa scuola.
Grazie ad una borsa di studio, il giovanissimo De Torres ha fatto parte della Compagnia Nikolais/Louis Foundation for Dance e del New York City Ballet, oltre ad aver frequentato la Julliard School.
Come ballerino, De Torres ha lavorato in numerose compagnie di danza, fino al 1996, anno in cui ha assunto la direzione della compagnia Larumbe, -fondata da sua madre Karmen Larumbe, pioniera della danza contemporanea- insieme a Daniela Merlo.
Se con Karmen Larumbe la Compagnia si era distinta nella danza contemporanea per l'altra traiettoria artistica -risultato della trentennale esperienza della direttrice tra l'Argentina, il Belgio e la Spagna-, con Juan De Torres e Daniela Merlo, la Larumbe Danza ha acquistato nuovo impulso, promuovendo un lavoro di commistione ed integrazione delle varie discipline artistiche.
Il linguaggio del corpo viene spesso fuso con la tecnologia multimediale e con la voce, creando una interessante forma di teatro-danza, innovativa nel suo genere e totalmente distaccata da quella che era l'ìmpronta artistica della stessa Compagnia ai tempi di Karmen Larumbe. Non è, quindi, raro che ci si riferisca alla Larumbe Danza come ad una compagnia fondata dieci anni fa, a sottolineare lo stacco con il passato.
Dal 2002, inoltre, De Torres dirige il Centro di Creazione Coreografica di Coslada, vicino Madrid; qui, tra l'altro, ha sede attualmente la Compagnia Larumbe, essendo una delle cinque compagnie di ballo di tutta la Spagna associate ad un centro culturale della comunità di Madrid.
Con la sua direzione, De Torres ha portato nel 2005 la Larumbe Danza a rappresentare la danza contemporanea spagnola all'Esposizione universale di Aichi, in Giappone, oltre a farla partecipare a numerosi festival internazionali di danza, dove ha avuto modo di essere apprezzata per l'originalità artistica.

-Pezzo uscito sul Quotidiano della Sera di Roma del 24/09/2007-

L'assolo del corpo

Il rosso e il bianco. Irrealtà e ricordi, espressione del movimento e staticità.
Questi gli ingredienti di Croci e à elle vide, spettacoli rispettivamente di Paride Piccinini e Teodora Castellucci, che hanno chiuso ieri sera la quattordicesima edizione de Le vie dei festival, quest'anno ospitata dal Teatro Greco e dal Sala Uno.
Sebbene entrambi gli spettacoli non siano espressione diretta della Stoa -scuola sul movimento ritmico di Cesena, diretta da Claudia Castellucci- sono nati al suo interno; in entrambi, infatti, la ricerca di un discorso fatto di suoni e metalinguaggio è ben evidente, con attori-non attori muti eppure logorroici.
Due donne sono le protagoniste di "Croci", una vestita di rosso, altera e lenta nei movimenti, direttrice quasi delle azioni dell'altra -vestita invece di bianco-, dotata di braccia lunghissime ma prive di mani. Mentre dal fondo emergono tre lastre di ferro laccato di rosso, tre uomini, il cui nero degli abiti quasi si confonde con il resto della scena, battono sulle lastre con bastoni di legno - anch'essi dipinti di rosso-, producendo un accompagnamento costante, nell'irregolarità sonora, ai gesti delle due figure femminili. I quadri proposti dal giovane Piccinini (è nato nel 1983) sono offuscati da un velo opaco, un diaframma oculare che sfoca i contorni, costringendo ad un'attenzione particolare, dettata anche dalla confusione e complessità del narrato.
Non meno complessa la seconda opera messa in scena, à elle vide, della diciannovenne Teodora Castellucci.
Anche qui due figure, una in bianco ed una in rosso, sono le protagoniste del racconto, simboleggiando l'una lo Scorpione -emblema dell'immobilità mentale, tipica della stasi prima dell'attacco- e l'altra il Gallo -scrutatore dello spazio che lo circonda, ma irruento, frenetico ed estenuante nel movimento.
Se inizialmente i suoni che più corrispondono a queste due tipologie caratteriali presentano singolarmente il Gallo e lo Scorpione, la pièce si chiude in un combattimento sia di suoni che fisico, che lascia allo spettatore la decisione di chi abbia vinto.
Due lavori brevi, accomunati dalla provenienza della scuola, a sottolineare l'importanza dell'esercizio singolare -breve ma non per questo incompleto- e la richiesta di una critica, elevandolo, così, alla forma compiuta di spettacolo.

-Pezzo uscito sul Quotidiano della Sera di Roma il 24/09/2007-

20 settembre 2007

La sit-com made in Italy:7 Vite

Sette vite come i gatti. Sette vite come quelle dei personaggi che da questa sera su Rai Due, alle 20, daranno vita all'ennesimo esperimento televisivo prodotto dalla Publispei di Carlo Bixio (sue le produzioni, fra le altre, di Un medico in famiglia e de I Cesaroni).
Si tratta di 7vite, sit-com che ha ripreso il concept dallo spagnolo Siete vitas e la prassi delle trasmissioni americane di avere un pubblico interattivo durante le riprese.
Partendo da ciò, dodici sceneggiatori e due head writers hanno scritto -come sottolinea il produtore artistico Carlo Principini in conferenza stampa- una sceneggiatura incentrata sui personaggi a tutto tondo ed a prescindere dalle battute, volendo creare un prodotto ironico ed irriverente ma non per questo demenziale.

Girato presso gli studi della RAI di Napoli, questo numeroso team sembra essere riuscito negli intenti; il risultato è una comicità immediata, spontanea ed attuale.
Merito anche degli interpreti; accanto a chi con la comicità è più familiare (come Lucia Ocone -per anni spalla della Gialappa's in molte trasmissioni televisive-, o Michela Andreozzi -membro del duo Gretel&Gretel, che da quattro anni veste inoltre i panni dell'agente Giulia Spano ne La squadra), un'inaspettatamente brava Elena Barolo (ex-velina bionda di Striscia la Notizia di qualche anno fa), il gradito ritorno di Max Pisu e Massimo Olcese e la presenza del quasi esordiente Luca Seta, insieme a quella di Giuseppe Gandini e di Marzia Ubaldi, danno vita ad una storia compatta ed ironica, raccontata con freschezza ed immediatezza.
Davide esce dal coma dopo 15 anni e da trentenne deve affrontare il ritorno alla normalità vivendo come un adulto; vuole avere una ragazza, un lavoro ed essere indipendente. Ma ragiona come un adolescente e ha smania di crescere anche interiormente. Ad aiutarlo (o a confonderlo ancora di più?) ci sono la sorella maggiore Carlotta, i vicini di casa Leo e Sole, la cugina Laura e i suoi dottori, Giovanna ed Ezio.
Nei cinquanta episodi previsti, ognuno della durata di venticinque minuti, si incroceranno le loro vite, tra amori, litigi, passioni e delusioni, dando uno spaccato ironico e quanto mai veritiero dell'infantilismo che affligge chiunque.

-Pezzo uscito sul Quotidiano della Sera di Roma il20/09/2007-

Il lato comico della quotidianità

Occhi scuri, scapigliato e aria da bravo ragazzo. Luca Seta è perfetto per ricoprire il ruolo di Davide, il protagonista trentenne, che, svegliatosi dal coma dopo 15 anni, si ritrova col corpo di un uomo e la testa di un adolescente, smanioso di recuperare il tempo perso.
Per ristabilirsi bene, si affida alle cure mediche di Ezio (Max Pisu), neurochirurgo, donnaiolo quarantenne e superficiale, che, sconfinando nel campo della psicologia, prova a dargli anche consigli di vita e di azione, sebbene siano validi solo per un intraprendente sciupafemmine come lui.
C'è poi Giovanna, psicologa di Davide, trentacinquenne pungente, strampalata ed ironica, emblema della donna inacidita dall'assenza di una propria vita privata (ammette di passare le sue serate a letto con Proust!), interpretata dalla bravissima Lucia Ocone.
Davide va a vivere con Carlotta (Michela Andreozzi), impicciona, invadente e rompiscatole sorella maggiore che, con goffi atteggiamenti materni verso chi la circonda, sogna senza risultati il grande amore, come quelli che ammira nelle soap opera.
Nell'appartamento accanto, vivono Leo e Sole (Giuseppe Gandini e Marzia Ubaldi), mamma e figlio che sembrano avere in comune solo lo stesso tetto, oltre al conoscere Davide dall'infanzia. Sole, infatti, anticonformista ed hippie, non si capacita di come suo figlio Leo, sebbene ultratrentenne, giochi ancora con videogiochi e soldatini e guardi le donne nude su internet. Se il sogno dell'una è svegliarsi una mattina scoprendo che il figlio è andato via di casa, quello di Leo è restare a vivere comodamente con mamma, dalla quale dipende in tutto.
A turbare ulteriormente la fragile identità di Davide, infine, c'è Laura (Elena Barolo), una lontana cugina che si trasferisce a casa sua. Bellissima e viziata, abituata a collezionare flirt e vestiti, si fidanza con Ezio, mentre Davide, da subito innamorato di lei, si ingegna per conquistarla da uomo.
Base di ritrovo prediletto dai personaggi è il Barone Rampante, bar gestito da Franco (il perfetto Massimo Olcese), un ex cantante beat divenuto col tempo nichilista e pessimista.

-Pezzo uscito sul Quotidiano della Sera di Roma il 20/09/2007-

18 settembre 2007

Incontro di stili a passo di danza: Europa duemilasette

Nel marzo di cinquant'anni, con la firma dei Trattati di Roma, nasceva l'Europa.
Nell'ambito delle celebrazioni promosse dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri per commemorare l'idea di unione tra le nazioni che sta dietro la sua creazione, la manifestazione Europa duemilasette, promossa dal Teatro di Roma in collaborazione con l'ETI, dà il via da questa sera ad una rassegna internazionale basata sull'intersacambio delle culture che avrà luogo presso i Teatri Argentina, India e Valle.
Accanto a spettacoli di prosa, molte le iniziative che vedono come protagonista la danza; balletti, workshop, incontri e laboratori si succederanno fino al 5 ottobre, data conclusiva della kermesse.
Dal 25 al 29 settembre Madrid sarà la protagonista al Teatro India, dove un festival itinerante -per la prima volta in Italia dopo l'esordio, l'anno scorso a Praga- proporrà un dialogo culturale attraverso il corpo. Con "Madrid danza a Roma" -progetto sostenuto dal Ministero della Cultura spagnolo, dalla Regione e dal Comune di Madrid, dall'Ambasciata di Spagna e dall'Istituto Cervantes-, l'ideatore e direttore -oltre che ballerino e coreografo- Juan De Torres proporrà quattro compagnie di punta del panorama della danza madrilena e spagnola, che terranno inoltre anche workshop e laboratori a tema.
Il 25 settembre, dunque, la compagnia Larumbe Danza presenterà alle ore 21 lo spettacolo DKda1 -Sòlo diez anos ya!-, con musica dal vivo e coreografie di Cesc Gelabert, Teresa Nieto, Daniela Merlo e Juan De Torres.
Il giorno dopo, la compagnia Losdedae proporrà Ventisiete, con le coreografie di Chevi Muraday; il 27 settembre, inoltre, sarà la volta di Ni palante ni patràs (no hay maniera, oiga..) della compagnia di Teresa Nieto, mentre il gruppo 10&10 Danza, con Hebras de Mujer, ballerà il 28 settembre sulle coreografie di Mònica Runde.
A concludere la rassegna, infine, un Gala di solisti con danzatori spagnoli ed italiani, in nome di una comunione di spiriti e culture.
Dopo la Spagna, altra protagonista della danza di Europa duemilasette sarà la Francia, che, in collaborazione con il Centro Culturale Saint-Louis de France, concluderà le manifestazioni il 5 ottobre, al Teatro India.
Le due coreografie che verranno proposte dalla compagnia BD ( acronimo per "bande dessinée", fumetti) sono entrambe ispirate al mondo delle strips di due disegnatori cult francesi: Stephane Blanquet (che verrà omaggiato con En sourdine) e Régis Loisel (ricordato con Peter Pan). La compagnia BD sarà in scena alle 11.30 ed alle 19.30 del 5 ottobre, presentando le coreografie di Emilio Calcagno ed Olivier Dubois, a metà strada tra il delirio del fumetto e l'atmosfera ludica e magica della fiaba.
I biglietti della rassegna variano dai 12 ai 15 euro a spettacolo, acquistabili presso i botteghini dei tre teatri; infine, con la Cartateatro si possono acquistare quattro spettacoli a scelta tra i dodici proposti -o spenderli come quattro biglietti per un unico spettacolo- a 50 euro.
-Pezzo uscito sul Quotidiano della Sera di Roma il 18 settembre 2007-

09 settembre 2007

Boheme

"Che gelida manina! Se la lasci riscaldar. Cercar che giova? Al buio non si
trova. Ma per fortuna è una notte di luna, e qui la luna l'abbiamo vicina"

La soffita occupa il centro del grande palco, scenografia più piccola e modesta in una cornice di buio. Un tavolo, qualche sedia, un lume e una piccola stufa.
Fogli sparsi ed un calamaio.
Rodolfo scrive, poeta, l'articolo di fondo per il giornale per cui lavora.
Il suo scrivere viene interrotto; bussano alla porta.
La vede.
Pallida, ma dagli occhi così belli che lo fanno subito innamorare.
Le si è spento il lume e, da vicina"inopportuna", lei ha bussato alla sua porta.
Un colpo di tosse, un breve svenimento, un saluto.
Poi la ricerca della sua chiave, che Rodolfo trova ma nasconde in tasca.
Bisogno di un pò di calore per quelle membra così fredde.
Calore delle rime di un poeta e di un fuoco che miracolosamente è vivo oggi.
Sono le 13.30 di una giornata leggermente meno afosa rispetto a quelle passate, sebbene comunque umida.
Nel piazzale che separa i tre edifici del Lincoln Center, un mercatino domenicale mischia spettatori a curiosi, turisti ad amanti dello shopping di lusso in tende da discount.
In sottofondo, le note della Meditazione da Thais di Massenet, diffuse da un violino acustico ed altoparlanti.
Nel New York State Theatre, invece, le note della Boheme di Puccini.
L'ho vista almeno dieci volte, eppure mi commuovo come fosse la prima volta.
La prima volta che le mie orecchie ascoltano una musica così bella nonostante la banalità del dialogo.
La prima volta che vedo con occhi da spettatore una triste eppure grande storia d'amore.
La prima volta che anche le mie mani si fanno gelide e necessitano di calore.
Posto in alto ( 4° ring, fila G), ma il teatro è stato costruito talmente bene che anche in fondo in fondo si riesce a vedere bene il palco e l'orchestra, che occupa l'apposita cavea scavata.
Il rumore dei fogli, dei piatti di Momus e lo strepitio del parquet a terra al passare delle persone.
Un rumore di vita in una storia di morte.
In una città che si accinge a commemorare una giornata tragica con compostezza, che da una strage inaspettata e livellatrice fa emergere due fasci di luce fino al cielo, a mò di sentiero verso il Paradiso.
"Sei il mio amore e tutta la mia vita".
La chiamavano Mimì, ma il suo nome era Lucia.
Ora ha le mani al caldo e dorme.
Io, invece, mi asciugo le lacrime.

06 settembre 2007


05 settembre 2007

just walking

Continuano a passare i giorni, qui a New York, come se non ci fosse nulla di preciso da fare per poi però ritrovarsi nel vortice della frenesia generale.
In questo fine agosto, infatti, si sono accumulati alcuni giorni di festa; lo scorso 1 settembre, poi, si festeggiava il Labour Day, simile al nostro 1 maggio. Con la differenza che tendenzialmente quasi tutti gli esercizi commerciali erano aperti, i taxi erano sempre numerosi e tranne tre musei tutte le attrattive culturali della città erano garantite.
Da ieri, però, la città si è nuovamente riempita; il Labour Day è, infatti, l'ultimo giorno delle vacanze estive.
Le strade, da due giorni a questa parte, sono tornate ad essere pienissime di persone, tutte frettolosamente dirette da qualche parte con in una mano cibo o bevande e nell'altra il cellulare; le donne, inoltre-tutte o quasi-, aggiungono alla borsa anche una busta, in cui custodiscono gelosamente le scarpe basse per poterle indossare nella pausa o nel ritorno a casa.
Sto vivendo anche io la frenesia di New York. Oggi, poi, lo sciopero dei taxi ne ha letteralmente bloccato i grandi viali, affollandoli di macchine, limousine affittate, taxi-risciò e autobus di linea.
Tornando dallo studio di mio fratello che è su Lexington Avenue, attraverso l'affascinante Park Avenue ed incrocio Sarah Jessica Parker, in attesa accanto a me che scattasse il verde per i pedoni.
Arrivata sulla 5a, invece, ho sentito un pò del concerto dei Maroon 5, che, all'interno del Fashion Rock (è in corso, infatti, la settimana della moda), si sono esibiti davanti al mega centro Apple all'angolo con la 59 st; è stato carino ammirare i newyorkesi da poco usciti dall'ufficio, che ballavano in giacca e cravatta o tacchi alti in mezzo alla strada...Per non parlare poi dei pullman turistici a due piani che hanno bloccato la 5a strada perchè fermi a sentirsi il concerto...
That's New York.

02 settembre 2007

Harlem

Harlem. Il quartiere inizia alla 125th Street, circondata ad est dal fiume Harlem e ad ovest dall'Hudson.

Qui fino a trent'anni fa non ci si poteva nemmeno passare in auto con i finestrini blindati.
Tutta colpa delle rivolte iniziate negli Anni '70 e proseguite anche negli anni a venire, quando con la scusa di ottenere i risarcimenti delle assicurazioni vennero bruciate moltissime case in cambio di dollari.
Ora è tutta un'altra storia; chi ci vive non è più un reietto ribelle della società newyorkese, ma semplicemente un uomo, bianco o nero che sia.
Certo, la comunità afro è quella che popola maggiormente questo immenso quartiere a nord di Manhattan; ma la fobìa dell'uomo nero, per fortuna, non c'è più.
Ora ci vivono molti artisti; è una zona ottimamente collegata grazie ad autobus e metropolitana; ora c'è Sugar Hill, dove gli affitti sono altissimi.
In tutta questa normalità omogenea, per fortuna, però, i battisti hanno mantenuto viva la loro parte più intima, lo spirito religioso. Anche se, purtroppo, per le strade sono molti i pullman zeppi di turisti, pronti a fotografare semplici fedeli abituati a pregare cantando come se stessero, invece, allo zoo.
Essendo abitato per la maggior parte da afroamericani, in chiesa la domenica mattina ci sono per lo più neri, elegantissimi nei loro vestiti a festa per il giorno del Signore.
Le donne più anziane vestono solo ed esclusivamente di bianco, dalla testa ai piedi, cappello e scarpe comprese; le altre semplicemente in modo molto elegante, relegando il bianco a colore per gli accessori, mentre le ragazze sono vestite normalmente. Anche negli uomini c'è una certa ripartizione generazionale nell'abbigliamento; quelli più anziani indossano frack o abiti da cerimonia neri o gessati, mentre man mano che scende l'età si vedono anche jeans e maglietta.
Le strade di Harlem est sono piene di persone, tutte sorridenti, in attesa fuori dalle moltissime chiese di amici e parenti. Tutto intorno, le saracinesche dei negozi sono coperte da graffiti colorati; le strade smettono la numerazione di Manhattan per prendere il nome dei "loro" eroi, come Malcom X, o di qualche reverendo della comunità battista.
Alle 11 le strade si svuotano; si prende posto in chiesa (più simili a degli ampi saloni con un palco, non essendoci navate, cappelle per i santi ed altari) e si aspetta che dalla porta principale scendano verso il palco il diacono, la diaconessa e tutti gli altri officianti e membri importanti della comunità. Rigorosamente danzando e cantando a ritmo delle note dell'organo moderno, il cui suono è molto simile a quello di una tastiera elettronica.
Microfono in mano, si salutano i membri della comunità, si ringrazia il Signore per i doni avuti finora; qualcuno dalle panche batte le mani, qualcun altro dici un vigoroso "Yes", un altro intona parole di ringraziamento; intanto l'officiante prosegue in crescendo le preghiere affinchè lo Spirito Santo scenda sulla comunità e la aiuti a superare le difficoltà quotidiane.
Si intonano canti religiosi, mentre un coro di bianche vesti ondeggia a ritmo di musica e batte le mani a tempo; in un attimo tutta la chiesa si alza in piedi, ondeggia anch'essa, si consuma le mani battendo a ritmo insieme al resto delle persone.
Un'emozione sentire di essere ancora in grado di provare così tanto trasporto in nome della fede.

01 settembre 2007

Cena a Long Island

Stasera sono andata a cena con i miei parenti americani...il fratello di mia nonna, come tanti italiani allora, è nato qui, a New York, dove parte della famiglia si è trasferita in cerca di un migliore domani.
Oggi questa parte della mia famiglia è totalmente americana; i figli dei figli ed i nipoti sono nati qui, cresciuti qui e vivono qui.
Alcuni di loro di italiano hanno solo il cognome, altri qualche reminiscenza di dialetto, altri l'amore per la terra che i propri avi hanno dovuto e voluto lasciare diverso tempo fa, altri ancora ne hanno fatto materia di studio e di lavoro.
L'appuntamento è a Long Island, una delle isole che ci sono a New York e che costituiscono praticamente un territorio a sè stante.
La casa di mia zia Aurora e di zio Vincent (a dispetto del nome, lui ha origini siciliane ma non parla nemmeno una sillaba in italiano) sembra una di quelle dei film; nel mezzo di una distesa verde di questa parte di New York, si erge una villetta a due piani, piena di moquettes e foto di figli e parenti.
Ne trovo anche una di mia nonna con il fratello, che poi sarebbe il papà di mia zia, morto qualche anno fa.
E' stato bello pensare che almeno adesso loro due stanno insieme da qualche parte, non più divisi da un oceano di distanza.
Siamo in 14 a cena; si parla in tutti i modi. Italiano, inglese, dialetto calabrese, gesti, sorrisi.
Ma sono contenta.
Il tramonto che ho davanti, la baia, l'oceano e il calore di queste persone che mi hanno visto sì e no tre volte in tutta la mia vita mi scalda il cuore.

Il sole ed il vuoto

Questa mattina, dopo la solita colazione da Sturbuck's, sono andata direttamente all'Empire State Building, contravvenendo ai consigli di chi c'e' gia' stato (m'era stato, infatti, suggerito il tramonto come momento ideale per salire lassu') e decidendo di gustarmi in pieno sole la vista dei grattacieli e della baia di Hudson.
Per fortuna, dato che questi per New York sono giorni di festa (lunedi, infatti, si festeggia il Labour Day, per cui e' tutto o quasi chiuso), non c'era molta gente in coda; dopo pochi minuti, quindi, ho conquistato la biglietteria, in fila composta come gli altri turisti.
Sono quasi tutti indiani o pakistani; molte famiglie con bambini piccoli, come a voler augurare loro di toccare il cielo sin da piccoli, senza troppi sforzi e con un semplice ascensore.
Ottanta piani in dieci secondi; qualche passo verso il secondo ascensore e poi eccomi arrivata all'86esimo piano di questo edificio, ricordato piu' che altro per esser stato "l'albero" di King Kong e riscoperto come monumento solo dopo l'11 settembre.
Una terrazza con muretto e recinzione di metallo mi protegge dal vuoto; davanti a me, una distesa di grattacieli dalle dimensioni diverse, palazzetti piu' piccoli e tanta acqua.
New York e', infatti, una citta' d'acqua; a destra e a sinistra della parte propriamente urbana, l'accompagna come fossero braccia, da cui si staccano ogni tanto diverse island.
Nel mezzo della baia di Hudson, vista dall'alto, la Statua della Liberta' si nota appena, sembra un soldatino in miniatura di qualche gioco da tavola. L'immensita' dei grattacieli ne sminuisce l'imponenza; forse, vedendola da sotto, questa sensazione di delusione verra' meno.
Girando lo sguardo verso sinistra dalla Statua, mi colpisce subito un buco tra una fila di grattacieli; e' Ground Zero, riconoscibile anche cosi' a distanza per la presenza di una gigantesca gru laddove qualche anno fa c'erano le Torri Gemelle. Se da qui e' impressionante, probabilmente quello che vedrò da vicino diventerà anche un buco nello stomaco, a volermi ricordare a lungo quanto male c'e' intorno.
Ho camminato per alcune ore dopo l'Empire, girovagando senza una meta precisa eppure per nulla spersa.
La pista del Rockfeller Centre trasformata in terrazza culinaria dai tavolini dei bar che si affacciano su questa zona non fa nemmeno notare la gigantesca statua dorata del Prometeo ne' la cascata che ha alle spalle.
Qui, tra gente di tutti i colori e lingue, tra turisti e fanatici dello shopping, ho terminato il mio doble espresso di Sturbuck's, sorseggiandolo lentamente come fosse la mia pausa dopo una giornata di lavoro...Non mi sento una turista spaesata.

Ma, soprattutto, non mi sento una turista.