Un pianoforte e una kora: con Einaudi e Sissoko è solo magia
C'era un volta. E la zucca si trasformò in carrozza. Ma quella è un'altra favola.
C'era una volta. E la zucca si trasformò in magia. E' la favola che questa sera Ballaké Sissoko e Ludovico Einaudi hanno raccontato al Teatro Olimpico col loro Diario Mali.
Tutto ciò che si doveva fare, una volta seduti e spente le luci, era solo chiudere gli occhi e lasciarsi andare alle note della kora e del piano, per poter così viaggiare per immense distese desertiche e grandi foreste, osservando come un'aquila dall'alto del cielo l'immensa distesa sottostante.
Ascoltare il rumore dell'acqua e lo strepitìo del fuoco. Ammirare le foglie muoversi baciate dal vento e respirare l'odore del legno. Guardare un branco di giraffe intente a scaldarsi le macchie al sole, e percepire il rumore della sabbia che scivola sulle rocce.
Tutto questo è accaduto durante il concerto; è stato possibile andare in luoghi lontani ed accoglienti, selvaggi e calmi, forti e dolci.
I tasti del pianoforte hanno tessuto con le corde della kora un tappeto accogliente, dai colori caldi, su cui ci si è ritrovati adagiati come fosse stato il proprio habitat naturale.
In parte brani del Mali, in parte appositamente composti, la sensazione più incredibile nell'ascoltare le note di questi artisti è stata la calma, surreale quasi, improvvisa ed inaspettata, che è scesa sui sensi del pubblico.
Una consapevolezza di benessere ed armonia, dettata da quel contrapporsi e rincorrersi delle note del piano con i trilli della kora.
Quasi un odore di incenso nelle narici e il tepore del sole sulla pelle.
Bravissimi entrambi, maliardici plasmatori di quelli che all'apparenza sono solo due strumenti, ma che in realtà sono lo sfogo dell'anima. Un incipit ed un centro con due assoli, il primo di Ballaké Sissoko, il secondo di Einaudi.
Il finale poi di nuovo insieme -con un acclamatissimo bis- l'un strumento compenetrato nell'altro, i tasti del piano scandagliando le ventuno corde della kora, che sembra essere in realtà mandolino, chitarra, arpa e banjo insieme.
La bellezza e la dolcezza delle loro interpretazioni è quasi indescrivibile; ha parlato la loro anima, tra tormenti, rincorse, ristori, malinconie, amori e gioie.
E' stata questa la loro magia: un brivido lungo la schiena, una lacrima che si asciuga, un viaggio fuori e dentro di sè.
E quando si sono riaccese le luci si è dovuto semplicemente scrollarsi i granelli sabbia dalle scarpe e riaggiustarsi i capelli, scompigliati dal vento.
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