Decreto antiviolenza negli stadi. Come mai siamo governati da dei buffoni?
2 febbraio 2007: si gioca la partita Catania-Palermo.
In seguito alla guerriglia fuori dallo stadio, muore l'ispettore di polizia Filippo Raciti.
38 anni, una moglie e due figli.
Già il 7 febbraio si poteva leggere su tutti i giornali titoli come questo: «Il Consiglio dei Ministri ha varato stasera un decreto legge "severo e senza precedenti" », mentre Luca Pancalli -commissario straordinario della FIGC da settembre 2006- ringraziava ovunque il Governo "per l'impegno e la tempestività" con cui era stata affrontata la problematica delle sicurezza negli stadi.
Un mese dopo, il 7 marzo, il Senato approvava a larghissima maggioranza (246 voti favorevoli e 5 astenuti) il decreto legge contro la violenza negli stadi, che, però, a causa di alcune modifiche apportate durante le discussioni, doveva ritornare alla Camera per la conferma del voto (secondo l'iter della navette legislativa).
Il testo che veniva presentato ai deputati in quell'occasione prevedeva un forte giro di vite contro gli ultras, con un aumento delle pene; per lesioni gravi, ad esempio, la condanna da infliggere sarebbe stata aumentata a 10 anni e 6 mesi, invece dei 4 anni e 6 mesi attualmente previsti dal nostro ordinamento. Il provvedimento, inoltre, aumentava il Daspo -acronimo per Divieto di Accedere alle manifestazioni SPOrtive, misura già introdotta nel nostro ordinamento da una legge del 1989- ed introduceva pesanti sanzioni contro chi esponeva striscioni a contenuto razzista. Altre misure, infine, riguardavano la fragranza di reato -estesa a 48 ore- e l'impossibilità per lo spettatore di acquistare più di 4 biglietti di una partita.
Nella seduta della Camera del 15 marzo, tuttavia, le cose si sono complicate; molti, infatti, i punti su cui il dibattito si è animato. Nel dettaglio, gli aspetti che hanno fatto più discutere sono stati il reato ideologico per chi espone striscioni, l’inasprimento delle pene (con reclusione anche fino a 18 anni) per l’autore di lesioni gravi ai danni delle forze dell'ordine ed il differimento fino a 48 ore della flagranza di reato.
A ciò si è aggiunta poi la richiesta del presidente della Lega calcio, Matarrese, di apportare modifiche nella parte in cui si prevedeva che le società di calcio avrebbero dovuto pagare i costi di adeguamento degli stadi.
Al termine di quella lunga giornata, il risultato è stato che il decreto andasse ai supplementari, per usare un termine calcistico; per lunedì 19 marzo è stata, dunque, prevista una nuova riunione della Camera per la discussione su ulteriori emendamenti, da aggiungere all'unico approvato, ossia la "possibilità" -non più quindi la "doverosità"- per le società di partecipare alla spesa per l'adeguamento degli stadi.
Dopo più di una settimana di discussioni -ricca per di più di altre questioni importanti, quali il rifinanziamento della missione in Afghanistan-, infine, la Camera ha approvato l'altro ieri il "suo" decreto antiviolenza, che, tuttavia, necessita di un nuovo passaggio al Senato a causa delle modifiche apportate all'ultima versione da questo approvata.
Inoltre, ieri le commissioni Giustizia e Affari Costituzionali di Palazzo Madama hanno ulteriormente modificato il provvedimento in esame, rendendo perciò necessaria una nuova votazione di Montecitorio.
Sembra davvero, a questo punto, che nel nostro Paese sia più importante parlare di beghe, ricatti ed assunzioni di droghe di vari e presunti VIP o politici (che di politico hanno oltretutto e vergognosamente solo un immeritato stipendio da nababbi) piuttosto che occuparsi delle cose davvero serie ed urgenti che si necessiterebbe fare.
Un decreto, infatti, ha 60 giorni di tempo per essere convertito in legge, oltre i quali decade ex tunc, salva la facoltà del Parlamento di regolare i rapporti giuridici sorti sulla base del decreto non convertito in legge.
Questo decreto antiviolenza ha tempo per la conversione in legge fino al 9 aprile; tuttavia, sarà discusso in Senato fra il 3 ed il 5 aprile, dopodiché il provvedimento dovrà nuovamente tornare alla camera per la sua definitiva approvazione (salvo ulteriori modifiche in Senato).
Per la serie "domani è un altro giorno e si vedrà". Eh, già, perché il Parlamento si fermerà per le vacanze pasquali almeno dal 7 aprile.
Come dire...tanto, «l'input» che ha causato questi "lavori forzati e forsennati" al nostro Parlamento, non c'è più; quindi, perché sbrigarsi a combinare qualcosa di concreto ed importante?
Nessuno vuole davvero il decreto e i suoi tentativi di rendere civile e fruibile da tutti uno sport da sempre tra i simboli dell'italianità; nessuno, però, lo ammette.
Il gioco della politica italiana continua, dunque, nel rispetto delle prese in giro dell'elettorato.
Tanto poi si può sempre dare la colpa alla legge elettorale sbagliata o alla nostra costituzione troppo "antica".
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