23 aprile: muore Boris Eltsin. E l'Italia risponde con un bel silenzio!
Era il 1985.
Un anno fondamentale per la storia dell'URSS; muore, infatti, Cernenko, sostituito da un certo Mikhail Gorbaciov nella guida del PCUS, con Andrej Gromyko a presidente della Repubblica.
Dopo pochi mesi di governo, Gorbaciov riuscì a stipulare a Reykjavik con l'allora presidente statunitense Reagan un accordo bilaterale per la riduzione degli armamenti nucleari; sostanzialmente, un primo importante passo verso la distensione dei rapporti tra i due paesi, dopo anni di quella che è meglio nota come "guerra fredda".
Negli anni successivi, grazie a Gorbaciov, furono scarcerati uomini politici ed intellettuali dissidenti, venne avviata la riabilitazione politica e giudiziaria di dirigenti vittime dei processi staliniani, segnato l'inizio di «un lungo viaggio», caratterizzato dalla glasnost (trasparenza) e basato sulla perestroika (nuovo corso).
Grazie alle molte riforme politiche, economiche e sociali dell'URSS, si arrivò anche al ritiro dell'armata dall'Afghanistan (occupato dal 1979 per decisione di Breznev), ma anche alla messa in moto di movimenti rivendicativi nazionalisti da parte di molte delle repubbliche che costituivano l'Unione.
Sostanzialmente, tra il 1988 e il 1990, molte le Repubbliche che proclamarono l'indipendenza, sancendo ufficialmente a dicembre del 1991 la fine dell'URSS e la nascita della CSI, ossia la Comunità degli Stati Indipendenti.
Nel 1991 viene eletto presidente della Federazione Russa Boris Eltsin, nato nel 1931 in un umile paesino delle repubbliche Socialiste Sovietiche, dallo strambo nome di Bukta.
Introdotto nel Comitato Centrale da Gorbaciov, questo ingegnere edile presto dedicatosi agli affari politici del suo Paese, divenne nel 1985 capo della sezione moscovita del partito. Nel 1987, durante una riunione plenaria del Comitato Centrale, il suo spirito idealista lo portò a denunciare la corruzione dilagante dell'apparato burocratico sovietico e l'ostracismo di molti dirigenti sovietici nei confronti dell'opera riformista di Gorbaciov; questa presa di posizione gli costò la retrocessione ad amministratore delle Poste. Tuttavia, Eltsin nel 1989 venne eletto nel nuovo Congresso dei deputati dell'Unione Sovietica e nel 1991 presidente della Federazione Russa.
Qualche mese dopo la sua elezione a presidente, nell'agosto, Boris Eltsin riescì a fermare un tentativo di golpe appoggiato dai detentori conservatori del potere politico, ostli alla politica riformista di Gorbaciov, permettendogli di restare al potere ancora per qualche mese, anche se, ormai, come quasi un ostaggio nelle mani dello stesso Eltsin. Quest'ultimo, esponente della corrente del riformismo avanzato, avviò pertanto una serie di riforme -soprattutto economiche- mirate alla destrutturazione del precedente sistema economico e finanziario del Paese, al fine di crearne uno completamente diverso.
La disgregazione in tante piccole unità politicamente autonome, inoltre, impose a Eltsin la stipula di una serie di accordi con quelle che fino a poco tempo prima erano state semplicemente delle realtà sottomesse al potere superiore della Federazione Russa. Inoltre, in quel momento la CSI non era niente più che una sigla, che necessitava, perciò, di essere riempita di contenuti giuridici e poilitico-economici.
Se dopo il processo di disgregazione della Federazione, la Russia viene accettata dall'ONU come nazione che sarebbe subentrata all'URSS anche come membro permanente del suo Consiglio di sicurezza -con gli annessi oneri finanziari per il ritiro dell'armata russa dall'Afghanistan, dagli Stati baltici e dall'Europa centrale-, tuttavia, il paese che Eltsin si trovò a dirigere era estremamente confuso, politicamente debole ed economicamente in crisi, sebbene assolutamente innocuo dal punto di vista militare, e, quindi, (stranamente!) improvvisamente "amico" degli Stati Uniti.
Se nel 1993, infatti, un referendum popolare approvava la sua opera politica, nel 1996 il secondo turno elettorale per le presidenziali venne da Eltsin vinto con difficoltà; sempre nel '93, inoltre, l'opposizione parlamentare di Ruslan Khasbulatov potè essere sedata solo con la forza da parte delle compagini governative.
Un continuo alternarsi di governi, il costante conflitto tra potere politico e legislativo (ad esempio nel dicembre del 1995, Eltsin si trovò senza maggioranza parlamentare per via della questione inerente la Cecenia), l'elaborazione di una nuova costituzione "presidenziale" nel 1993, la natura composita dello Stato russo (21 repubbliche, 49 regioni, 10 distretti autonomi e 2 città a statuto federale), una prima guerra contro la Cecenia (dal 1991 al 1996) seguita poi da una seconda (iniziata nel 1999). Questo il succo di quanto dovette affrontare Eltsin nel suo paese e per il suo paese.
Poi il passaggio di consegne del potere a Vladimir Putin, alla fine del 1999, per gravi problemi di salute.
Ieri, 23 aprile, la morte di Boris Eltsin, sostanzialmente bypassata da telegiornali e quotidiani, come se fosse morta una persona qualsiasi, come ne muoiono tante.
O come se, oggi, parlare di Russia significasse anche sporcarsi l'inchiostro e le mani di morti al polonio, segreti inconfessabili ed inconfessati, da coprire con la segatura dell'omertà e della noncuranza.
Il gioco delle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo.
Eppure Boris Eltsin è stato uno dei personaggi-chiave del secondo Novecento; ha evitato che la follia di un popolo affamato e provato da anni di crudeltà e malgoverno uccidesse Gorbaciov durante la sua vacanza in Crimea; ha creduto che davvero il suo paese potesse essere in grado di sopportare anni di processi alle intenzioni, fame "comunisticamente" condivisa e conseguenze di una guerra fredda non certamente voluta da lui.
Ha creduto in una perestroika radicale, dalle fondamenta, rigorosamente da buttare giù perchè tenute insieme solo dai fili di pochi ed esclusivi burattinai assetati di potere, corruzione e morte.
Ha creduto che, come ricordava anche De Andrè, dai diamanti (o presunti tali) non nascesse niente, ma che dal letame potessero nascere dei fiori.
Dopo i casi scandalosi della Politkovskaja, di Litvinenko, parlare di Russia è davvero troppo scomodo, specie se si deve parlare di un uomo che ha messo nelle mani dell'attuale presidente Putin tutto il potere di una nazione, specie se si devono ammettere gli errori economici da lui fatti, così come le molte riforme liberali attuate senza l'autorizzazione del Parlamento sovietico. Specie, dunque, se si deve fare un rendiconto del "bene" e del "male" di un uomo che è passato a miglior vita, un uomo non certamente e facilmente riconducibile al girone dei dannati, ma nemmeno a quello dei beati. Specie se nessuno osa dire che l'uomo che Eltsin ha favorito al potere è un personaggio tanto occulto quanto molti altri suoi predecessori, con l'unica differenza, però, di non essere ancora stato sentito da un tribunale internazionale.
In fondo, negli ultimi anni, la madre Russia ha dato il commiato a tanti suoi uomini; uno in più non fa differenza.
Beffa del destino o simbolo di sottili e perversi giochi internazionali la dichiarazione del portavoce per la sicurezza nazionale degli USA, Gordon Johndro, che ha definito Boris Eltsin "una figura storica in un tempo di grandi cambiamenti e di grandi sfide per la Russia"?
Noi, da buoni italiani, siamo stati pressocchè zitti sulla morte di Eltsin, non ci siamo granchè pronunciati.
Del resto abbiamo ben altri "eroi della Corona" a cui pensare.
Nessun commento:
Posta un commento