Concerto di Ligabue,Granteatro, Roma
Sono le 21.10.
Le luci del Granteatro si spengono, il sipario si apre su quel palco rimpicciolito per rendere maggiore l'intimità della band; una sola luce, bluastra, illumina Luciano.
L'instancabile narratore di sogni e speranze, dolori ed urla taciute. In solitudine -o quasi- affronta la prima parte di un concerto davvero emozionante.
Si presenta seduto su uno sgabello -con una camicia blu e la sua chitarra- ai 3000 che hanno riempito il teatro; inizia ammonendo i suoi solitamente scatenati fans: «Ragazzi, non fate casino qui, per favore. Siamo in un teatro e purtroppo non ci si può agitare troppo..».
Inizia, quindi, il suo concerto; anche se forzatamente ingessati, chi più chi meno intoniamo con lui le parole del Ligabue degli esordi, quello che urlando contro il cielo gridava che a volte serve un motivo per affrontare quelle strade troppo strette e diritte per chi vuole cambiare rotta oppure sdraiarsi solamente un pò.
Le luci illuminano la platea; per la prima volta è innanzitutto lui che vede noi e noi che siamo semplicemente e totalmente immersi nelle note della sua chitarra e del violino di Mauro Pagani. E Luciano non manca di sottolineare quanto questa dimensione più intima e queste luci gli piacciano; riesce finalmente a vedere i volti di chi, mani tese verso di lui e voce roca a fine concerto, lo supporta da anni. Sembra emozionato.
Le mani battono, i piedi fremono e i ricordi portano ognuno dove la sua voce ha cristallizzato delle tracce.
Sembra quasi di vederlo, Walter, che con il suo “abracadabra” riesce per l'ennesima volta nel suo trucco vecchio come il coniglio nel cilindro; il portavoce di noi con la giacca sbagliata, fuori moda e fuori posto, che magari buttiamo tante cose -anche se il famoso viaggio lo facciamo insieme a qualcuno-, nella speranza che,alla fine di tutto, faccia davvero meno freddo.
Una prima parte sommessa, quasi sottovoce, profondamente malinconica, o forse io l'ho vissuta così.
Forse perché le parole di Luciano hanno spesso accompagnato il mio vissuto; forse perché ieri avevo bisogno di urlare la mia rabbia. Forse perché, anche se non vorrei, non riesco a vivere la mia vita a pieno. E' stata la necessità di urlare insieme ad altri la voglia di essere ascoltati, il bisogno di avere qualcuno da sentir passare nella schiena o che si infila silenziosamente in un pensiero.
Tra una canzone e l'altra ogni tanto gli “scappa” qualcuna delle sue poesie; parole “vomitate” su un foglio, senza linee d'interpunzione, solo con gli interrogativi.
Gli stessi presenti quando ci si chiede se è ancora sesso o già amore, gli stessi di quando ci si presenta ad un appuntamento che non verrà rispettato, di quando ci si chiede se si è come quella stella che vuole a tutti i costi scappare da chi la vuole tenere nel proprio buio.
Una pausa di dieci minuti mi permette di far sedimentare le note di ciò che conoscevo, ma che grazie ad un nuovo arrangiamento ha permesso di far risaltare maggiormente le idee e le capacità di questa voce graffiante ma tenera, profonda ma non per questo ammonitrice.
Riprende lo spettacolo; la seconda parte è più movimentata, come se Ligabue ci stesse stretto in quella veste di narratore mesto di pensieri agitati. Ed ecco che la band si allarga; sul palco anche Mel Previte, Rigo Righetti, Robby Pellati e Josè Fiorilli.
La sua anima profondamente rock viene fuori; e a quel punto, noi “maleducati” quasi vogliamo buttarle giù quelle poltrone di un teatro che va troppo stretto per chi ha le gambe che fremono e le braccia verso il cielo, a dispetto di chi ti sta seduto dietro e vorrebbe assistere ad un'opera di Shakespeare.
Si viene e si va, Eri bellissima, Vivo o Morto o X, Questa è la mia vita; manca solo Anime in plexiglass...Ma a quel punto Ligabue avrebbe rischiato davvero di far smontare la struttura del Granteatro!
Due ore e dieci di un concerto che, se fosse stato per me e credo anche per molti altri, sarebbe dovuto durare almeno altre 3 ore; perché né io né gli altri, né tanto meno questo perfetto mix di lambrusco, coltelli, rose e pop corn avevamo voglia di andare via. Volevamo ancora agitarci, sentire tutte le possibili variabili melodiche di brani nati anni fa ma non per questo passati, cantare in compagnia a squarciagola per sentirsi così un po' meno soli.
Ringrazia il suo pubblico Luciano, felice che tutti insieme si è riusciti a trasformare in qualcosa di magico ed emozionante ciò che in questi anni ha fatto da diario alle storie di tanti che, come me, si sentono buttati in mezzo alla nebbia, ma non per questo si rassegnano a viverci.
-Pezzo uscito il 24/11/06 su www.lineamusica.it-
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