18 marzo 2007: l"incipit


"Vieni a fare un giro dentro di me
o questo fuoco
si consumerà da sè.
E se una vita finisce qua
quest'altra vita
presto comincerà"

Con parole di altri (gli Afterhours), apro questo blog, con il fuoco che spero non si spenga mai.
Ho scritto molte parole, forse inutili o banali, o forse interessanti, irriverenti e divertenti.Le ho pubblicate altrove, ma a volte capita che dopo una giornata al mare si torni a casa solo con la sabbia nelle scarpe.
Ecco spiegato, quindi, il perchè di post retrodatati.
E' iniziata anche questa avventura..davanti, l'orizzonte. Sconosciuto. E per questo, assolutamente elettrizzante!
Buona lettura a tutti!



14 giugno 2006

Il notturno di Neffa



«Il silenzio rotondo della notte
sul pentagramma
dell'infinito.
Me ne vado nudo per la strada
carico di versi
perduti».




Sembra essere il protagonista di questa poesia di Gabriel Garcìa Lorca, Giovanni Pellino, in arte Neffa, nel suo ultimo lavoro, "Alla fine della notte", edito dalla BMG Sony ed uscito lo scorso 9 giugno.
«Alla fine della notte non è un concetto cupo, anzi, è il momento della giornata per eccellenza, quando tutto si è spento; è un momento durante il quale il confine tra la realtà e il sogno è veramente molto sottile, un momento che mi ha sempre molto affascinato, in cui c’è la sospensione del sole e della luna, gli attimi si dilatano e i sogni sembrano veramente vicini alla realtà quotidiana.
Poi, la città si ripopola e tutto ricomincia daccapo».
Spiega così Neffa il suo ritorno sulla scena musicale dopo tre anni di silenzio, anni nei quali ha fatto un po’ pace col mondo, risolvendo certi suoi aspetti personali e tornando con una serenità ed una calma, tipici, per l’appunto, della lucidità notturna.
Un album il cui riferimento letterario a "Le porte della percezione" di Aldous Huxley non è casuale.
«Questo album rappresenta un tentativo di lottare contro l’idea del nostro futurismo, del nostro stile di vita attuale. Sono nato negli anni dell’uomo sulla Luna e, crescendo negli anni Settanta, ricordo che le nostre previsioni sul futuro erano più sullo stile Giulio Verne, con invenzioni tecnologiche strabilianti, che ci avrebbero permesso di andare su altri pianeti.
Ora, invece, mi sembra che il futuro -e il futurismo soprattutto- si siano più spostati dal corpo alla nostra mente, che il futuro ci voglia entrare in testa e confonderla, farci diventare delle macchine. Ho cercato di stare dietro a questo mondo che ci vuole così, presenti e cattivi, però non ci sono riuscito. Credo che qualsiasi forma di pensiero sociale debba avere come fine ultimo la felicità, non l’essere adeguato in ogni circostanza, o l’essere sempre al passo coi tempi, creando, così, solo dei consumatori.
Voglio essere una persona, non sono un consumatore. Questo penso sia il metro di giudizio americano, che va bene per loro, che sono di un’altra cultura; per gli italiani, no, perchè sono altro. Purtroppo, invece, tendiamo a vivere la superficialità di questa vita moderna.. ed alla fine il tutto si ritorce molto nello stile di vita.
La musica adesso è più un gadget da patatine, non è più Arte. Purtroppo chi tratta l’Arte, invece, spesso ne parla in funzione del botteghino; nonostante gli italiani siano un popolo che ha già in sé il germe dell’Arte, sembra che adesso noi siamo la colonia di altri popoli, che la produzione artistica italiana venga trattata come un figlio minore.
Ed il tutto, poi, si riflette anche nella produzione dei cantanti italiani.
Ma per me non è così. Sono preoccupato dal nostro “futurismo”, ossia dalla nostra proiezione del futuro, più che dal futuro stesso. Questo disco nasce proprio con l’esigenza di comunicare l’utopia dell’umanesimo.
Siamo ancora persone libere, dopotutto, in grado di reagire non per stati d’animo indotti, e di vivere e scegliere senza percorsi obbligati».
Dodici canzoni nate per la maggior parte a Formentera costituiscono il suo notturno moderno; in pezzi come "Venere" , "Vieni appena vuoi" o "Tanta Luce", ha sperimentato sonorità gospel e soul, mentre "Il mondo nuovo", nonostante l’apparente orecchiabilità del suono, ha un testo complesso, motore della riflessione di questo album.
«Credo sia un pezzo particolare, che non necessariamente ti prende al primo ascolto -ho notato che ci sono persone che mi hanno fatto inizialmente un commento un po’ freddo e che poi dopo una settimana hanno alzato di molto il loro parere in senso positivo-.
Non ti nego, però, che credo sia il migliore pezzo che abbia mai fatto. E ci sono arrivato a 40 anni!».
Neffa resta e vuole restare ciò che è, senza compromessi con uno stile che non sente suo o con una commercializzazione della sua persona e della sua musica.
«Io -e non so bene quale sia il motivo principale- non sono disposto a fare delle cose che magari fanno altri; credo che il prodotto sia molto più importante del comportamento del cantante. Non mi piace questa "politica della musica"; trovo sia normale e giusto che un cantante sia ispirato, scriva il suo pezzo e lo metta su un cd, lasciando al pubblico, poi, la scelta e la possibilità di acquistarlo o meno.
Tuttavia, si tende sempre a mettere tutto in una scatola con l’etichetta; io stesso sono stato definito in molti modi (prima ero quello del rap scazzato, poi quello delle canzoni allegre ed ora sono quello che "non si capisce mai dove và"). Personalmente, ho una certa idiosincrasia per le etichette e faccio davvero fatica quando mi se ne affibbia una.
Dico solo che siamo in un paese in cui una hit negli anni 70 faceva 4 milioni di copie e adesso se ne fai 400 mila devi andare a piedi a Fatima! È palese che qualcosa non và. E quel qualcosa che non va non credo siano i cantanti, perché ce ne sono sempre state di diverse tipologie, ma ora si ha un netto spartiacque tra quelli che "fanno cultura" e quelli che "fanno marchetta". Perché non si può apprezzare semplicemente una forma d’arte? La maggior parte della musica italiana, ora, mi sembra veramente fatta con la riga e con la squadra. Ed io continuo a non voler essere un gadget da patatine.
Senza contare, poi, che per me la creatività è sofferenza, magari arriva un momento di particolarmente appagamento e la tua creatività un po’ ne risente. Ho sperimentato su di me che le cose migliori che ho fatto sono venute fuori dopo che ho sofferto come un cane. Così come mi è capitato di sentire delle cose che ho fatto in passato e di pensare che non erano un granché!
La mia creatività musicale l’ho sempre vissuta come una cosa un po’ particolare, cercando cioè di affinare la mia arte -o per lo meno di migliorare la mia canzone-, cercando allo stesso tempo di migliorare anche me.
Ho bisogno di emozione e di scrivere canzoni, non solo come artista ma anche come uomo.
Ed in questo senso "Il mondo nuovo" è stata una canzone che mi ha dato emozione. Dopo che ho fatto tre dischi come cantante e come rapper, e uno da batterista, non ti nego che questo album mi ha dato 20 secondi di orgoglio interiore!
La musica è fatta per stare dentro l’anima».
E l’ultimo lavoro di Neffa ne tocca sicuramente le corde.
-Pezzo uscito a giugno 2006 per www.lineamusica.it-

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