Se solo mi avessi mostrato il tuo corpo
Tanti vestiti, quasi stracci, a terra, sparsi disordinatamente, a formare un pavimento di memoria. Al centro, seduta, con una grande palla anch'essa rivestita di pezze e stracci, una giovane donna, bella ed espressiva in quella sua maglietta a righe e pantaloni neri, novella Pierrot senza lacrime visibili. Inizia così "Se solo mi avessi mostrato il tuo corpo", di Paolo Vanacore, in scena fino a sabato 31 Marzo presso lo spazio teatrale Elsa Morante di Roma. E' scalza questa giovane donna, e abbraccia il pallone, parlandogli. Ricorda la sua infanzia, la sua vita interamente passata "in uno stanzone" insieme ai cinque fratelli. Ricorda le voglie del padre di "scopare, fottere", mentre la ritrosìa della madre a concedersi al marito a poco avevano potuto, essendo nato dopo di lei Luigino. Ricorda la curiosità di bambina, il suo chiedere spiegazioni di quello "scopare, fottere", il senso, la modalità. Ricorda le botte della madre, unico momento in cui le sue mani la toccavano. Un monologo che poi diventa dialogo muto con una madre-muro, assente quasi del tutto sia dalla scena teatrale che dalla vita della giovane e fragile Stefania, così curiosa, bisognosa d'affetto e delle mani della mamma, del suo calore, della sua pelle. Una storia difficile, emozionante, commovente, una storia basata sulla verità di una delle tante vite che negli anni Ottanta popolavano il quartiere di Magliana, a Roma, proprio sotto l'argine. Una storia anch'essa sotto l'argine, non figurato, bensì reale. Un argine fatto di ritrosìa, distacco, non amore; un argine che ha trovato il suo punto di rottura quando, con l'anoressia, Stefania si è resa conto di riuscire a destare l'attenzione di una mamma così tanto schifata dai rapporti umani da non volerne avere nemmeno con i propri figli. Un argine che è stato ricostruito grazie a Chiara, a un'altra donna, un'infermiera, che è riuscita a dare, proprio a partire da un letto d'ospedale, quel pò d'amore di cui Stefania aveva tanto bisogno, che le ha fatto conoscere il suo corpo come mai nessuno prima, che l'ha liberata da quel senso oppressivo del "peccato" che tanto impediva a casa sua il solo toccarsi. Eppure, nonostante Chiara, Stefania non è ancora una donna indipendente dalla madre, anzi. Ne cerca disperatamente, ancora, dopo anni, l'amore, l'approvazione, la parola, il gesto; la va a trovare da dieci anni in una casa di cura dove s'è rinchiusa, costretta su una sedia a rotelle, nel suo silenzio distaccato e inumano. E Stefania, proprio in una delle sue tante visite, decide di rompere ancora quell'argine, non facendo però più male a se stessa, ma provando a farne alla madre, riversandole addosso le sue parole come fiume in piena, ricche di disperazione, frustrazione, amore e bisogno, nella speranza di ottenere da lei, sebbene dettato magari dalla rabbia, almeno un gesto..impresa difficile, quasi impossibile, avendo davanti una donna che sdegnosamente guarda questa carne della sua carne mentre le racconta di Chiara.. Il fiume di parole di Stefania inevitabilmente finisce per far rompere le dighe dello spettatore, così fortemente coinvolto nel disperato bisogno d'aiuto di questa giovane e bella donna, da piangere con lei, sentimentalmente sconvolto come lei da un abbraccio finale che quasi sembra voler ricongiungere fili spezzati. Un'emozione che senza una Tullia Daniele così espressiva e ricca, difficilmente sarebbe potuta venir fuori; un'emozione da cui, per chi può andare, consiglio di lasciarsi travolgere. Se solo mi avessi mostrato il tuo corpo di Paolo Vanacore con Tullia Daniele Fino al 31 Marzo presso lo spazio teatrale Elsa Morante Piazzale Elsa Morante Roma Biglietto intero: 12 €; ridotto 10; Spettacolo: ore 20.30