Mystic Diversion
Allora Francesco, nasci come musicista negli anni Ottanta. In quegli anni la tua musica aveva la funzione di far ballare, divertire e distrarre. Poi hai accentuato la carriera di paroliere, dando, quindi, maggiore importanza alle parole. Infine sei passato alla musica ambient, in cui le parole ci sono, ma sono quasi superflue. È stata una evoluzione verso una musica più sensoriale o credi semplicemente sia più facile far produrre e far girare un prodotto “da accompagnamento” piuttosto che un testo impegnato od un genere dance fortemente messo in crisi dalla concorrenza statunitense e britannica?
Niente di tutto ciò! Credo che tutto sia musica, anche quella di generi diversi; ecco perché ho naturalmente cambiato i miei stili. È stato un processo naturale, i gusti sono cambiati con il tempo.
Inoltre, mi ero stufato di cantare e volevo scrivere musica. Sono un cantautore che canta le sue cose, ma che preferisce soprattutto fare il song-writer. Ed ho iniziato, quindi, a dedicarmi essenzialmente a quello, con la speranza che la mia musica sarebbe finita in un film. Ed invece, ha preso tutto un’altra piega!
In questo modo, quindi, si spiegano anche i diversi nomi che hai usato nel corso della tua carriera, da Mike Francis a Francesko a quest’ultimo.
Si, proprio per sottolineare l’evoluzione personale e della mia musica che ho portato avanti in questi anni.
Resta ferma, ad oggi, la tua attività di compositore ed autore per altri artisti?
Resta comunque presente la mia attività di compositore per altri, sostanzialmente perché è una cosa che mi piace fare. Sia nello scrivere che nel comporre, infatti, la soddisfazione è la stessa!
E cosa ti gratifica di più, comporre e pensare ad un prodotto per altri o per te stesso?
Come ti ho detto prima, piacendomi scrivere musica, lo faccio in ogni caso, a prescindere se è per me o per altri. È comunque qualcosa di bello per me.
Vanti collaborazioni con Ami Stewart e con I Ragazzi Italiani. A che si deve questa disparità di scelta?
Sia Amy che i Ragazzi Italiani sono state conoscenze derivanti da quella che allora era la nostra casa discografica, l’attuale BMG, che all’epoca era ancora la RCA. Il sodalizio con Amy è nato perché lei si era trasferita da poco a Roma e, lavorando con la mia stessa casa discografica, le era capitato di ascoltare alcuni pezzi della mia produzione. Le è piaciuta, ed è venuta fuori l’idea di fare qualcosa insieme.
Per quanto riguarda i Ragazzi Italiani, invece, loro hanno solo cantato le mie canzoni, scritte da me come autore e non specificatamente per loro; gli sono piaciute e quindi, le hanno cantate..
Rimpianti verso il passato? Pensi ci sia ancora spazio per te per quel genere di musica o l’hai superato?
Nessun rimpianto. Né rinnego quello che ho fatto. Tutta la mia produzione va vista dal punto di vista del naturale processo di evoluzione personale, dei miei gusti, del mio modo di esprimermi. Inevitabilmente, quindi, è un genere che ho superato, che non sento più molto mio.
Veniamo al presente: Mystic Diversion: perché questo nome?
Avendo in mente un progetto, necessitavamo di un nome da dargli. Volevamo trovarne uno che sottolineasse il nostro intento di costruire e fare una musica che prendesse ispirazione dalle musiche del mondo, nonostante, poi, fondamentalmente, la nostra musica abbia una base latina.
I Mystic sono tre: oltre te, tuo fratello, Mario, ossia Mari-One e Aidan Zammit; sei tu la mente e loro il braccio o componete insieme?
Nei Mystic io sono quello che scrive di più, ma tutti gli arrangiamenti sono il risultato di un lavoro comune, specie perché proprio gli arrangiamenti sono imponenti.
L’ultimo album, che uscirà il 31 marzo prossimo, si chiama «From the distance»; quali sono state le ispirazioni di quest’ultimo lavoro?
L’idea di fondo è che posti molto lontani tra loro si assomigliano, perché facenti tutti parte di un unico spazio. Oltre che con la musica, abbiamo cercato, quindi, di far risaltare questa idea attraverso le foto contenute nell’album. Il fotografo Salvo Galano, infatti, ha ritratto sia la meravigliosa isola di Ponza (amata, tra l’altro da entrambi), che il Venezuela e le Galapagos; eppure, sembrano tutte foto di uno stesso posto. Avevamo dunque ragione! Ed anche il titolo dell’album, poi, rientra in questo discorso.
Nel nuovo album collaborano con voi Wendy Lewis, Nadine Renee e i Farias. Com’è nata la vostra collaborazione?
Wendy vive a Roma e cantava come corista; la nostra collaborazione risale al primo album dei Mystic, «Crossing the liquid mirror». Ha una voce meravigliosa. Come, del resto, anche Nadine, conosciuta tramite Maurizio Altieri; a loro è piaciuto il nostro project e l’hanno, quindi, prodotto. I Farias, invece, li ho conosciuti a Roma, per caso.
Insomma, mai come nei loro confronti dire che è stato il destino a farci incontrare è esatto!
In «Colours», invece, che è il vostro terzo album ed è uscito nel 2004, spicca la collaborazione con alcuni importanti jazzisti italiani, quali Bungaro e Di Battista. Da dove nasce l’idea di fondere il jazz, con quella che tu chiami musica etnica? E la collaborazione con loro due?
Credo che il jazz e la mia musica siano molto vicini, sia come genere che come stile. Nella mia musica ci sono molte componenti di bossanova e R&B, di tango ed anche di jazz.
Mentre con Di Battista la collaborazione è nata perché ci lega un’amicizia, con Bungaro è nato tutto perché Aidan [Zammit] lavora con lui.
Il genere chill-out, ossia quello in cui rientrerebbe la vostra musica - sebbene a te non piaccia questa definizione!-, viene spesso accusato di essere ripetitivo e noioso. Come ti poni davanti a questa affermazione e cosa fai tu per smentirla?
Il chill-out non è un genere di musica. È un sinonimo di rilassamento dopo un’attività frenetica. In teoria, tutte le musiche sono create per rilassarsi. Specie le produzioni degli ultimi anni, che hanno visto tantissime compilation del genere. Al momento c’è un’inflazione di questo tipo di musica, non ci sono molti project originali, specie in Italia, dove a parte noi ci sono i Gabin e Donati che fa new-bossa. Puntiamo, quindi, a smentirla attraverso produzioni originali ed innovative, che non si rifacciano a qualcosa di già edito.
La difficoltà materiale di portare in tournèe questo genere di musica, non vi risulta castrante per la vostra produzione musicale? In teoria, tutti i musicisti desiderano molto il contatto col pubblico…
Purtroppo non abbiamo fatto molti concerti. La nostra musica, infatti, necessita di un palco grande, con parecchia attrezzatura, dato che siamo almeno in dieci a suonare. Non è facile trovare posti adeguati, in cui riusciamo a starci tutti. Con una formazione ridotta, però, la complessità della nostra musica non verrebbe fuori e si farebbe un prodotto a metà. Sostanzialmente sono convinto che fino a quando non possiamo realizzare il nostro prodotto come vorremmo fosse fatto, fare dei concerti sarebbe solo peggiorativo, sia per noi che per il pubblico. Non ne varrebbe la pena. Con questo non voglio dire che non facciamo in assoluto concerti perché non ci sono gli spazi adeguati -ad esempio, l’anno scorso ne abbiamo fatto uno in occasione dell’anniversario di Bulgari in Svizzera-, ma solo che cerchiamo di far coniugare le nostre esigenze tecniche con una buona realizzazione live.
Anche perché non abbiamo un repertorio dance, in cui eventuali arrangiamenti computerizzati possono sopperire agli strumenti veri e propri, ma, facendo world music, l’essenziale sono gli strumenti. Tutti.
Hai un luogo preferito per ispirarti musicalmente?
Ponza. È un’isola che amo molto. Per cui ci vado spessissimo. Ed ogni volta mi emoziona.
Nel 1992 sei stato in tournèe nelle Filippine e ne hai diffuso il video. Eri ancora Mike Francis; come mai la scelta delle Filippine? Questa è stata una data voluta da te? E ha, in caso, avuto la valenza di inizio o di punto di approfondimento della tua conoscenza del mondo orientale?
La scelta delle Filippine è stata loro, così come quella di produrre un video. Si trattava di concerti molto grossi, in cui c’erano circa 15.000 persone, per cui realizzare un video era assolutamente idoneo. Inizialmente, il video è stato venduto lì e poi si è deciso di venderlo anche in Italia. Sebbene, quindi, andare in Oriente non fosse stata direttamente una mia decisione, sicuramente ha rappresentato un punto di approfondimento della mia conoscenza del mondo orientale, che, tra l’altro, avevo già avuto modo di conoscere con precedenti mie tournèe in Oriente.
Sei stato uno dei primi esempi di musica italiana esportabile all’estero, in lingua inglese, però. Come mai le case discografiche non producono appositamente per il mercato straniero, limitandosi ad esportare in alcuni paesi il prodotto italiano? Secondo te questa è una mancanza delle case produttrici che non osano o dei nostri artisti che non si rendono conto della globalizzazione della lingua?
La musica tipicamente italiana che si produce è quella folk, per cui o sei un artista del genere o non funzioni fuori. Le nostre imitazioni all’estero di funk, pop e simili, in italiano non funzionano, perché le andiamo ad esportare in luoghi in cui quei generi musicali fanno parte della loro cultura. Solo gli Almamegretta ci sono riusciti. Lo straniero, sentendo un tipo di musica che assomiglia a quella che gli appartiene, ma con una lingua diversa, non la capisce; invece, qualcosa di completamente diverso da quello che è il loro patrimonio musicale, viene accettato e capito. Tutto qui!
Oltre all’album dei Mystic che uscirà venerdì, stai lavorando a qualcosa di nuovo?
Si, sto facendo un disco come cantante, ma da quando sono nati i Mystic non ho più fatto canzoni da cantante. Non so quando dovrebbe uscire, ma dato che è quasi finito, mi auguro tra la primavera e l’autunno.
"Guardare e pensare a persone e luoghi lontani, perché non è sempre possibile viaggiare, anche se viviamo su una terra piccolissima dove, se pur diversi, non siamo così diversi. E se avessimo vissuto in un’altra città qualsiasi, la nostra vita sarebbe stata diversa, ma non così diversa, avremmo fatto cose diverse, ma non così diverse. Avremmo sposato un’altra donna o un altro uomo diversi, ma non così diversi. Qualsiasi posto nel mondo potrebbe essere stato la nostra casa. E quindi va protetto. A queste cose pensavo mentre lavoravo a «From the distance». Francesko, Ponza. Estate 2005.
-Pezzo uscito a marzo 2006 su www.lineamusica.it-